La storia della Tesla ruota attorno al fondatore e attuale CEO,Elon Musk. Quarantaquattro anni, jeans, camicia a scacchi, giacca di pelle, Converse ai piedi e un patrimonio finanziario secondo Forbes di 12,3 miliardi di dollari, ottenuto grazie alla vendita della sua Paypal, la principale piattaforma di pagamento online, al colosso eBay. Risorse subito reinvestite: in attesa di portare tutti su Marte con la sua Space X (partner della NASA dopo aver sconfitto concorrenti del calibro di Boeing e Lockheed Martin), Musk ha deciso di produrre auto elettriche (Tesla) e pannelli solari (Solar City).

E sembra riuscirci bene. In particolare con le elettriche. Anche a dispetto dei numeri. Nel secondo trimestre 2015, Tesla ha venduto 11.850 vetture: per dare un’idea, nello stesso periodo Toyota ha superato quota 2,5 milioni. Tesla chiuderà il 2015 a poco più di 55mila unità vendute, contro gli oltre 10 milioni di veicoli dell’industria giapponese. Non solo. Su ogni auto venduta, secondo gli analisti, Tesla perderebbe circa 4mila dollari. Sempre prendendo a riferimento il secondo trimestre 2015, le perdite nette sono state di 184 milioni di dollari e l’obiettivo di vedere i primi profitti sembra slittato ormai al prossimo anno. L’azienda californiana ha anche già rinegoziato la sua linea di credito con le banche da 500 a 750 milioni di dollari.

Eppure tutto questo non sembra spaventare il mondo finanziario: oggi lacapitalizzazione di Tesla è di circa trenta miliardi di dollari, una decina di miliardi in più di FCA (Fiat – Chrysler) e il suo titolo, a differenza di quello delle altre industrie automobilistiche, è stato solo sfiorato dalle perdite legate al “Dieselgate” che ha coinvolto Volkswagen.

È la forza di un’idea. È il premio alla capacità di disegnare per prima un futuro. Partendo dal passato. Lo dimostra la storia di Nummi, lo stabilimento Tesla di Fremont, in piena Silicon Valley. L’impianto, realizzato da General Motors, è sempre stato conosciuto negli Stati Uniti per la scarsa qualità delle vetture prodotte, l’elevato numero di scioperi e l’alto tasso di assenteismo. Non a caso nel 1982 GM decise di chiuderlo. Due anni dopo però, Toyota, alla ricerca del suo primo impianto negli Stati Uniti, propose un accordo non proprio convenzionale a GM: i giapponesi avrebbero prodotto a Nummi la Corolla (una delle auto più vendute in Usa) e gli americani, in cambio, potevano studiare da vicino il processo produttivo e l’organizzazione del lavoro Toyota. La collaborazione durò fino al 2010: la crisi economica portò GM alla bancarotta e lo stabilimento alla chiusura, con i giapponesi che sembravano non poter mantenere aperto l’impianto da soli.

Occasione propizia per Tesla: trovarsi, a pochi chilometri dal quartier generale, una fabbrica che aspettava solo di tornare a lavorare. A maggior ragione se a rilevarla Elon Musk ci guadagna: 50 milioni di dollari si ottengono dalla stessa Toyota, 465 milioni arrivano da un prestito del Governo americano e altri 20 milioni sono legati a incentivi fiscali dello Stato della California.

Musk può così contare sul primo stabilimento, con una capacità produttiva che oggi arriva a quasi 2mila auto elettriche a settimana. Da qui esce la berlina Model S, venduta in trenta mercati, oltre un miliardo di miglia percorse finora a zero emissioni e definita lo scorso settembre, dall’importante rivista americana Consumer Reports, come la migliore auto mai provata.

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